A fine novembre il governo ha presentato due nuovi strumenti di sostegno ai redditi delle famiglie: la social card e un bonus una tantum di importo variabile. Considerando l'inconsistenza delle politiche anti-povertà delle due passate legislature, si spera che queste misure costituiscano il primo passo sperimentale di un percorso di riforma del welfare. Restano però provvedimenti che per l'esiguità dell'importo e per l imprecisione del disegno tecnico, rifletterono più il desiderio di cogliere un successo di immagine che l'intenzione di alleviare significativamente le condizioni dei poveri.
IL SOSTEGNO DEI REDDITI FAMILIARI PIÙ BASSI NEL PACCHETTO ANTI-CRISI
Il governo ha presentato nell’ultima settimana di novembre due nuovistrumenti di sostegno ai redditi delle famiglie:
- una carta acquisti mensile per le famiglie in povertà estrema (social card) (1)
- un assegno una tantum, di importo variabile fra i 200 e i mille euro, per le famiglie a basso reddito di lavoratori dipendenti e pensionati (bonus famiglie) (2)
Non è facile dare una valutazione sintetica delle due misure dal punto di vista delle politiche redistributive, soprattutto perché ilbonus, il più consistente dei due, ha un carattere ibrido. Presentato come misura anti-crisi temporanea e non ripetibile, potrebbe ciononostante costituire, per le sue caratteristiche, un esperimento suscettibile di ulteriori sviluppi, nell’ambito di un nuovo approccio alla politica della famiglia e alla riforma del Welfare. Considerando il lungo e accidentato percorso di introduzione del Minimo Vitale in Italia, e in particolare le inesistenti o inconsistenti iniziative anti-povertà delle due legislature precedenti, si tratta di un (piccolo) passo nella giusta direzione. Lasocial cardè, palesemente, una integrazione della carità privata per soggetti e famiglie a bassissimo reddito, non inutile in sé. Rispetto al bonus, è apprezzabile la ricorrenza mensile, non una tantum, dell’erogazione. La social card presenta tuttavia, sotto il profilo della scelta dei beneficiari, alcuni vistosi difetti: in primis, l’esclusione delle famiglie degli stranieri regolarmente registrati in anagrafe (il bonus, correttamente, è invece destinato a tutti i residenti).
Mentre molti osservatori criticano in questi giorni l’esiguità degli importi dei due benefici (totali e per le singole famiglie destinatarie), questo articolo entra nel merito del disegno dei due provvedimenti, avanzando nella parte finale un’ipotesi di lavoro (Credito Familiare) per una eventuale auspicabile estensione futura, su base ricorrente, del sostegno alle famiglie con redditi bassi(3).
SOCIAL CARD: PERCHÉ ESCLUDE GLI STRANIERI E I BAMBINI DI QUATTRO ANNI?
Per l’esiguità dell’importo (40 euro al mese) e la imprecisione del disegno tecnico, la social card sembra riflettere più il desiderio di cogliere un facile successo di immagine sul governo precedente che l’intenzione di alleviare significativamente le condizioni dei poveri. La social card ha infatti un importo triplo rispetto al ‘bonus incapienti’ del passato governo. Si tratta tuttavia soltanto di un euro e 33 centesimi al giorno contro i circa 42 centesimi del‘bonus incapienti’. Per le famiglie senza reddito, in tutti e due i casi si tratta di una cifra modesta rispetto ai bisogni minimi essenziali.
Nonostante questo, non è ovvio che si tratti di uno strumento inutile. Realisticamente, la sua vera efficacia andrà valutata, con un attento monitoraggio del suo impiego, soprattutto in relazione ai possibili rapporti di integrazione/sostituzione con la carità privata, che rischia di contrarsi durante i periodi di recessione. Sarà bene monitorare con attenzione anche possibili effetti di “spiazzamento”, anche se a priori non sembra molto probabile, dato l’importo minimo, che la social card abbia effetti di disincentivo sulla carità privata.
Un grosso difetto della social card è la platea di beneficiari moltoristrettae selezionata in modo arbitrario e categoriale. Le famiglie povere che non hanno in casa almeno un bambino con meno di tre anni non avranno nulla. Altrettanto ingiustificabile, sul piano etico, l’esclusione degli stranieri poveri anche se regolarmente iscritti all’anagrafe. Si tratta oltretutto di famiglie relativamente più esposte agli effetti della crisi. Infine, l’importo della social card tiene conto solo imperfettamente dei diversi bisogni delle famiglie, generando problemi di equitàverticale e orizzontale. Per esempio, a parità di reddito una famiglia con due gemelli di un anno di età avrà un importo doppio rispetto ad un’altra con un figlio di un anno e uno di quattro. La soglia di reddito, almeno, tiene correttamente conto della composizione del nucleo familiare, poiché è misurata in base al reddito equivalente ISEE (4).
Anche l’azzeramento “improvviso” al di sopra della soglia di reddito, oppure al venir meno dei requisiti, è un difetto vistoso: per le famiglie povere, il terzo compleanno del figlio più piccolo sarà un giorno da dimenticare. Lo stesso avviene se un adulto della famiglia ottiene un reddito temporaneo di scarso importo.
IL BONUS: ASSEGNO UNA TANTUM O PROVA GENERALE DEL MINIMO VITALE?
La selezione dei beneficiari del bonus è più razionale rispetto a quanto previsto dalla social card. Destinata a famiglie che possiedono esclusivamente redditi da lavoro dipendente e da pensione (compresi quelli ‘assimilati’ dei lavoratori autonomi parasubordinati), non discrimina l’accesso a discutibili criteri anagrafici, come l’età dei minori, e include, come si è detto, gli stranieri residenti. Tuttavia, il testo del decreto sembra escludere i single che non sono titolari di reddito da pensione. Se questa interpretazione è corretta, si tratta di una discriminazione di cui non sono chiare le motivazioni.
Gli importi del bonus variano fra le diverse tipologie familiari in modo grosso modo coerente con la linea di povertà ufficiale per il 2007, con una copertura leggermente inferiore al 3% per tutte le famiglie con meno di sei persone e del 4% circa per quelle di sei componenti (5). Lesoglie di reddito, tuttavia, utilizzano una scala di equivalenza arbitraria, diversa da quella dell’ISEE e abbastanza imprecisa: non vi è differenza nel passaggio da due a tre componenti e in quello da quattro a cinque. Così, da un lato il beneficio raggiunge anche persone “quasi povere”, leggermente al di sopra della linea di povertà, che vivono in famiglie con meno di quattro componenti (ed è un bene che sia così), dall’altro esclude incoerentemente una parte delle famiglie povere di cinque o più persone.
Nonostante queste imprecisioni e l’importo molto contenuto, con il bonus viene finalmente introdotto su scala nazionale, anche se per un solo mese, uno strumento specifico ed universale di sostegno alla povertà. In pratica, è un possibile prototipo del Minimo Vitale, che attualmente è in vigore soltanto in alcune realtà locali, con differenti criteri di selezione dei beneficiari e modulazione dei benefici condizionata dalle risorse finanziarie disponibili (6). Inoltre, l’impianto del bonus accoglie in linea di principio la necessità di alleggerire il carico fiscale per le famiglie di lavoratori dipendenti e pensionati a basso reddito, iniziando a correggere una delle più evidenti anomalie del sistema tributario italiano. Per questi motivi, si tratta di una novità importante, che raccoglie i suggerimenti formulati dal dibattito nel corso degli ultimi anni.
IL COSTO DEL (MANCATO) SOSTEGNO ALLE FAMIGLIE
Naturalmente, l’estensione del bonus sull’intera durata dell’anno appare molto costosa, soprattutto a paragone delle somme irrisorie destinate al contrasto della povertà nelle due legislature precedenti (6). La spesa appare ancor più costosa, persino sconsiderata, alla luce delle note condizioni della finanza pubblica. Si tratta tuttavia di una prudenza finanziaria solo apparente, perché trascura i costi che la disuguaglianza e la povertà non contrastate provocano nel tempo, in termini di mancata crescita (7). La stabilità dei tassi di povertà relativa a fronte di un consistente aumento dell’occupazione, in associazione ad una crescita insufficiente dell’output, fanno sospettare che la distribuzione disarmonica del carico tributario e, soprattutto, il mancato sostegno dei redditi più bassi costituiscano da tempo un serio ostacolo alla crescita dell’economia italiana. Anche per quanto riguarda il necessario riassetto del welfare (auspicato dal dibattito e mai compiutamente realizzato), è chiara la convenienza di progettare per il futuro una trasformazione del bonus e della social card (correggendone i difetti) in uno strumento permanente e regolare di sostegno dei poveri e di redistribuzione del reddito. Oltretutto, si tratterebbe per molti versi di un’applicazione, limitata ai redditi bassi e medio-bassi, del principio della tassazione familiare dei redditi.
Un disegno flessibile del Minimo Vitale, d’altra parte, consentirebbe una sua implementazione graduale e progressiva, rendendo sufficientemente governabile il processo di transizione a regime. Anlalizziamo alcuni aspetti matematici del Minimo Vitale, per illustrarne sia le caratteristiche desiderabili, sia l’estrema flessibilità.
UN’IPOTESI DI CREDITO FAMILIARE
Una possibile implementazione del Minimo Vitale è l’attribuzione alle famiglie di un credito d’imposta rimborsabile, cioè di un’imposta negativa sui redditi familiari. Nella formula seguente il beneficio è calcolato come differenza fra una soglia di reddito prestabilito M ed il reddito familiare Y, tutt’e due “modulati” dai parametri a,k eb:
Credito Familiare = akM – bY
Il policymaker sceglie la soglia M,che indica l’importo massimo del beneficio per una famiglia di un solo componente. Tale importo sarà differenziato per famiglie di diversa numerosità e composizione in base ad una scala di equivalenza (nella formula: il valore del parametrok). Il parametro a, generalmente pari a uno, può essere aumentato per famiglie in particolari gravi condizioni di disagio, delle quali non si riesce a tener conto nelle scale di equivalenza (per esempio, persone disabili). Il parametro b, inferiore ad uno, viene scelto in modo da graduare la riduzione del beneficio all’aumentare del reddito, attenuando gli effetti di disincentivo al lavoro.
Per fare un esempio concreto, utilizzando la scala di equivalenza OECD modificata (1 per il primo adulto, 0.5 per ogni altro adulto, 0.3 per ogni minore di 14 anni) il policymaker potrebbe scegliere i seguenti parametri: M=6,000; a=1; b=0.6. Con questa configurazione, per un single si avrà il seguente schema di benefici:
Mentre, per una famiglia di due adulti con un figlio minore, si avrà:
Per ulteriori esempi, si può utilizzare il foglio di Microsoft Excel allegato.
(*) L’articolo riflette opinioni personali e non coinvolge la responsabilità dell’Istat
(1) Per i dettagli, vedere le pagine dedicate alla social card sul sito del Ministero dell’Economia (il presente articolo si basa su informazioni presenti sul sito il 28 novembre 2008) e l’articolo 81 del decreto legge 25 giugno 2008.
(2) Il bonus famiglie è descritto nell’articolo 1 del decreto legge 28 novembre 2008.
(3) Sugli effetti redistributivi e di bilancio dei due provvedimenti cfr. su lavoce.info i contributi di Boeri, Baldini e Pellegrino e Monti.
(4) Cfr. la pagina web dell’INPS dedicata al calcolo dell’ISEE.
(5) Per la linea di povertà 2007 cfr. Istat (2008), pag. 10.
(6) Per una rassegna, seppure non molto aggiornata, delle misure di natura assistenziali applicate in Italia si rimanda a S. Spirito 2003, Collana Documenti Istat, n.3, anno 2003, Roma.
(7) Sulla rimozione di fatto della povertà dall’agenda politica, cfr. Saraceno (2007)
(8) Gli effetti positivi dell’eguaglianza in termini di crescita economica sono ormai ben noti agli studiosi, cfr. Eicher, T. S and S. J. Turnovsky (eds. 2003), “Inequality and Growth”, MIT Press, Boston (in particolare il contributo di Bourguignon, F., “The Growth Elasticity of Poverty Reduction: Explaining Heterogeneity across Countries and Time Periods”).
Nessun commento:
Posta un commento